LETTERA APEERTA AGLI IMPRENDITORI ITALIANI
Desidero inaugurare il nuovo anno - che coincide con il decimo di vita di questo Studio – con la presente lettera in cui non intendo tracciarne i successi ma formulare gli auspici per un rinnovato incontro con gli Imprenditori che quotidianamente visitano il Portale web dello Studio (nell’anno 2015 sono stati circa 53.000); un incontro denso di reciproche soddisfazioni, basato sul mio totale impegno professionale, ma anche sulla loro auspicabile consapevolezza dell’utilità (per non dire necessità) di avere accanto persone disponibili a dare loro consigli, assistenza, orientamento nei processi aziendali.
Mi sia però consentito di ricordare che in questo decennio l’imprenditoria ha, purtroppo, conosciuto una profonda crisi sistemica, e molte aziende, in conseguenza di ciò, sono state costrette ad uscire dal mercato, non tanto – diciamolo chiaramente - per colpa dei farraginosi meccanismi economico-finanziari, quanto per l’assenza di lungimiranza in talune scelte operate in ambito di programmazione aziendale.
Quando l’imprenditore – soprattutto se giovane di età o privo di collaudata esperienza ovvero carente sotto il profilo della «cultura» aziendale – deve affrontare, senza alcun supporto esterno all’organizzazione dell’azienda, ritenuto dai più non indispensabile ai fini della realizzazione dei progetti di sviluppo della produzione di beni o servizi (che, poi, è il fine ultimo per l’ottimizzazione del profitto), allora egli spesso commette errori di valutazione nocivi per il contesto in cui opera.
Vogliamo, tutti insieme, dare una svolta al modus operandi?
Se la risposta è affermativa, bisogna, dunque, dare spazio alla concreta possibilità d’incontro fra l’imprenditore e chi è in grado di cooperare alle scelte risolutive per l’azienda. Alla domanda che precede ne segue un’altra. Chi è il soggetto che gode della qualifica di imprenditore? La definizione codicistica di colui che «esercita professionalmente un’attività economica al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi» (art. 2082 c. c.), non è del tutto esaustiva; necessita, riteniamo, di un’altra definizione racchiusa sempre nel codice civile e riferita all’azienda intesa come «il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa» (vedi l’art. 2555). Insomma, l’imprenditore è titolare della funzione (capacità) di organizzare i «fattori della produzione», individuati, secondo la consolidata classificazione, nella materia prima, nel lavoro e nel capitale. L’imprenditore che se ne discosta per svolgere, nell’ambito della propria azienda, altre attività (esempio: la direzione, la pianificazione e la programmazione) ne impoverisce i rispettivi contenuti.
Per le micro imprese è giustificabile l’assenza di un dirigente nell’organico dei collaboratori; lo è in parte anche nelle piccole imprese, due realtà aziendali che in mancanza di tale alta figura professionale dovrebbero dotarsi di un consulente. Posso affermare, con cognizione di causa, che taluni imprenditori mi hanno manifestato non tanto la pregiudiziale contrarietà ad affiancare alla propria attività un professionista esterno, quanto l’eterno problema di far conciliare il relativo costo con le inderogabili esigenze del bilancio aziendale. Ma siamo sicuri che l’incidenza sulla finanza di impresa sia tale da indurre a rinunciare al prezioso supporto ? Per rispondere alla domanda diventa indispensabile considerare l’equazione generale «costi benefici». I primi possono essere oggetto di accordo tra le parti del rapporto (l’imprenditore e il singolo professionista) e dunque quantificabili per valutarne la compatibilità con il bilancio, i secondi sono oggetto di analisi sul piano dell’efficienza.
Quali vantaggi ha o può avere l’imprenditore che decise di affidare a questo Studio - in cui operano avvocati, commercialisti e revisori contabili, consulenti del lavoro – la tutela globale degli interessi aziendali? Ne basta elencare uno solo: quello di non dover rincorrere, di volta in volta, il professionista di cui egli ha stretto bisogno.