L’IMPRENDITORE E LA FINANZA AZIENDALE

di Pietro Fulciniti

Chi si appresa a fare impresa è a conoscenza che uno dei fattori della produzione è costituito dal capitale. Se ciò è un dato di fatto, l’ulteriore competenza di cui deve dotarsi l’imprenditore riguarda «dove» e «come» cercare quel complesso di beni che, oltre al denaro, sono rappresentati da oggetti fisici necessari nel processo produttivo di altri beni quali gli strumenti, gli edifici, i veicoli, acquistabili sul mercato dietro corrispettivo di un prezzo.

E forse superfluo qui riportare la generale definizione di «finanza d’impresa» o «finanza aziendale» (corporate finance, secondo la terminologia inglese), la qualetrova fondamento nella scienzaeconomica ed è voltaalla ricerca e all'impiego delle risorse finanziarie da parte dell’imprenditore. Questi – con l’aiuto di professionisti esperti della materia – deve farsi carico d’individuare il punto di equilibrio fra le fonti di cui dispone nell’ambito aziendale (capitale proprio) e gli investimenti da progettare, affinché l’azienda consegua una perfetta gestione sia in termini di costi/benefici sia in termini di input/output. Lo schema che precede non sempre trova riscontro nella realtà; sicché l’imprenditore, quando non dispone di proprie risorse finanziare, è costretto a ricercare le fonti di finanziamento all’esterno dell’azienda, contraendo dei debiti con le banche o altre istituzioni finanziarie. In tal caso, il perfetto punto di equilibrio è raggiunto quando il rendimento del capitale preso a prestito è superiore al suo costo, evitando così di esporre l’azienda stessa a eccessivi rischi finanziari.

L’azienda per crescere deve adottare una politica che consenta la realizzazione di progetti, che – come appena accennato – richiede investimenti. La scelta di ciascun progetto è importante nella misura in cui esso si appalesa compatibile con le necessità del mercato cui deve offrire un prodotto finito a un prezzo concorrenziale rispetto alla qualità analoga di altri prodotti, affermandosi, in tal modo, un valore attuale netto positivo al quale si somma il precedente valore posseduto dall’azienda.   

Qualche approfondimento dei temi testé esposti sinteticamente si renderà utile. Colui il quale intraprende l’attività di imprenditore, già in quello stesso momento e poi, durante il concreto esercizio dell’impresa, deve – secondo le circostante -  prendere delle decisioni, le quali possono avere un peso che non sempre egli è in grado di sopportare da solo in termini di energie o capacità professionali. Chi è chiamato a svolgere tale compito, in funzione di stretto collaboratore dei vertici aziendali (presidente o amministratore delegato della società di capitali), può assume su di sé, in toto o in parte, la responsabilità delle decisioni in materia di finanza aziendale. La prima delle tre opzioni è qualificata come ricorso al capitale sociale, mediate emissione di azioni o l’offerta di quote, rispettivamente nelle s. p. a. e nelle s. r. l.: in entrambi i casi la remunerazione deve tener cono del tasso di rendimento minimo che la società deve offrire ai propri investitori, il cui calcolo si basa sulla loro convenienza ad impiegare fondi in una attività economica in grado compensarne anche il rischio. La seconda opzione riguarda il reperimento di finanziamenti sotto forma di debito contratto con le banche mutuanti o mediante l’emissione di titoli obbligazionari, da remunerare al costo del denaro, ossia secondo il tasso effettivo che l’azienda paga sulla somma di denaro stesso preso a prestito. Poiché il pagamento degli interessi sono deducibili dalle imposte, il costo del capitale di debito al netto del tributo viene privilegiato dall’imprenditore rispetto a quello al lordo delle imposte. Il costo del capitale di debito si misura poi in funzione del rischio cui può andare incontro un’azienda: al rischio maggiore corrisponde un costo più elevato, e viceversa. L’ultima opzione assume la forma della ritenzione degli utili di esercizio. Quando l’imprenditore non intende ricorre all’indebitamento o al capitale proprio, per sopperire al fabbisogno finanziario dell’azienda la sua scelta non può che ricadere sull’«endofinanziamento», il quale trova concretezza, principalmente, nell’intervallo di tempo che intercorre fra il momento in cui sono stati sostenuti dei costi originati, ad esempio, dalla realizzazione di progetti d’investimenti funzionali allo sviluppo aziendale e quello in cui si prevedono i consequenziali ricavi di esercizio. Il ricorso alla ritenzione degli utili è una delle componenti (quella che qui ci occupa, mentre le altre sono gli «accantonamenti per fondi rischi e oneri» e gli «ammortamenti») che generano l’autofinanziamento.

Sotto il profilo contabile, tale forma di autofinanziamento è una diretta derivazione del risparmio conseguito dall’azienda nei precedenti investimenti e si qualifica come risorsa idonea a finanziare ulteriori finanziamenti, creandosi un circolo virtuoso a tutto vantaggio dell’imprenditore.

Da quanto precede si evince chiaramente che i vantaggi in parola si conseguono con maggiore facilità ove l’imprenditore è consapevole dell’utilità che può derivargli dalla presenza in azienda di professionisti esterni in grado di consigliarlo ed assisterlo nelle scelte più importati.

febbraio 2019

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